Le supermamme un po' paranoiche che non si sa perché devono controllare tutto fino all'ultimo, hanno paura di volare. O, meglio, come disse qualcuno, paura di cadere.
Tralasciando tutte le considerazioni legate al fatto che volare è comunque è innaturale, che un'alta percentuale di persone finge sicurezza, ma in realtà teme il volo, che esistono corsi per superare questa paura, che bisognerebbe capire da dove deriva questo timore ecc. ecc. ecc...
E tralasciando pure il fatto che alla minima minima turbolenza (non sia mai poi che dicano di allacciare le cinture per sicurezza a metà percorso!) si avverta un improvviso ancestrale movimento di pancia difficilmente placabile anche dai più razionali e pragmatici ragionamenti (le hostess stanno sorridendo; è normale trovare dell'aria in aria; nessuno è preoccupato; l'aereo è fermo su una massa d'aria che gli fa da strada...).
Tralasciando tutto ciò, capita che le supermamme cambino il loro atteggiamento.
Non si sa perché: forse sarà l'età più matura, il fatto che tutta la famiglia sia con loro (" al massimo cadremo tutti assieme!... e i nonni poverini?") o semplicemente l'aver interiorizzato che l'avere paura non cambia la realtà e quindi tanto vale non averla.
Però una volta tanto possono essere contente: di non aver perso il sonno nei giorni prima, di non essersi godute la vacanza come farebbe un condannato al patibolo nei suoi ultimi giorni, di avere addirittura desiderato salire a bordo per arrivare a destinazione.
E, soprattutto, contente di avere guardato fuori dal finestrino con curiosità e meraviglia, non solamente per controllare lo stato dell'oscillazione delle ali o la rotazione velocissima del motore.
Certo davanti a quei dolci sussulti improvvisi capaci solo di cullare i bambini a bordo, si risvegliava ancora quell'improvvisa voglia di essere con i piedi a terra e non sentire quel ronzio di fondo, quell'aria rarefatta, e non vedere quelle immagini stampate davanti al naso con scivoli improvvisati o mascherine dall'alto per l'ossigeno. Ma solo a brevi tratti.
Per il resto era gratitudine, per essere lassù, grazie ai prodigi della tecnica, con le persone che più amano, con la possibilità di scoprire luoghi nuovi; per osservare, prima le nuvole multiformi con i loro strati e tutte le metafore che potevano suggerire, poi, quel cielo azzurro e quel sole che a volte dalla terra non credono sia davvero sempre lì su loro; e infine, quando a stracci le nuvole si diradavano, quel mondo a poche migliaia di metri lì sotto. Le montagne innevate perfette e sole, le valli e la pianura, il mondo dell'uomo. Quell'uomo che ha sistemato e reso più vivibile il mondo; che a vederlo e a pensarlo da lassù sembra non essere così male. Di cui non vorrebbero vedere l'altra faccia della medaglia, dei veleni, degli inganni, della sopprafazione e della violenza.
Da lassù pensano all'uomo da un altro punto di vista, e non è poi così male.
Tralasciando tutte le considerazioni legate al fatto che volare è comunque è innaturale, che un'alta percentuale di persone finge sicurezza, ma in realtà teme il volo, che esistono corsi per superare questa paura, che bisognerebbe capire da dove deriva questo timore ecc. ecc. ecc...
E tralasciando pure il fatto che alla minima minima turbolenza (non sia mai poi che dicano di allacciare le cinture per sicurezza a metà percorso!) si avverta un improvviso ancestrale movimento di pancia difficilmente placabile anche dai più razionali e pragmatici ragionamenti (le hostess stanno sorridendo; è normale trovare dell'aria in aria; nessuno è preoccupato; l'aereo è fermo su una massa d'aria che gli fa da strada...).
Tralasciando tutto ciò, capita che le supermamme cambino il loro atteggiamento.
Non si sa perché: forse sarà l'età più matura, il fatto che tutta la famiglia sia con loro (" al massimo cadremo tutti assieme!... e i nonni poverini?") o semplicemente l'aver interiorizzato che l'avere paura non cambia la realtà e quindi tanto vale non averla.
Però una volta tanto possono essere contente: di non aver perso il sonno nei giorni prima, di non essersi godute la vacanza come farebbe un condannato al patibolo nei suoi ultimi giorni, di avere addirittura desiderato salire a bordo per arrivare a destinazione.
E, soprattutto, contente di avere guardato fuori dal finestrino con curiosità e meraviglia, non solamente per controllare lo stato dell'oscillazione delle ali o la rotazione velocissima del motore.
Certo davanti a quei dolci sussulti improvvisi capaci solo di cullare i bambini a bordo, si risvegliava ancora quell'improvvisa voglia di essere con i piedi a terra e non sentire quel ronzio di fondo, quell'aria rarefatta, e non vedere quelle immagini stampate davanti al naso con scivoli improvvisati o mascherine dall'alto per l'ossigeno. Ma solo a brevi tratti.
Per il resto era gratitudine, per essere lassù, grazie ai prodigi della tecnica, con le persone che più amano, con la possibilità di scoprire luoghi nuovi; per osservare, prima le nuvole multiformi con i loro strati e tutte le metafore che potevano suggerire, poi, quel cielo azzurro e quel sole che a volte dalla terra non credono sia davvero sempre lì su loro; e infine, quando a stracci le nuvole si diradavano, quel mondo a poche migliaia di metri lì sotto. Le montagne innevate perfette e sole, le valli e la pianura, il mondo dell'uomo. Quell'uomo che ha sistemato e reso più vivibile il mondo; che a vederlo e a pensarlo da lassù sembra non essere così male. Di cui non vorrebbero vedere l'altra faccia della medaglia, dei veleni, degli inganni, della sopprafazione e della violenza.
Da lassù pensano all'uomo da un altro punto di vista, e non è poi così male.
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